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La conquista dell'assoluto

Noi pensiamo la natura come un dato. Ed è questa una delle tante superstizioni di cui è vittima la contemporaneità. La natura è invece qualcosa di più intimo e segreto. Un albero, una nuvola, un corpo mutano radicalmente in pochi attimi, in funzione della luce, persino delle nostre emozioni personali.

L'artista vero è colui che riesce a dare una sintesi perfetta di queste metamorfosi, a donare unicità al tempo che trascorre. Ha dunque ragione Einstein quando afferma che la natura non va imitata, bensì compresa nei suoi ritmi interiori; ed ha torto Platone quando afferma che l’arte è semplice copia del mondo delle idee, unico, vero ed attingibile soltanto dal filosofo. In realtà l’arte, come la filosofia, è sempre ideale, giacché essa sceglie e coordina le trasmutazioni in un’immagine, un paesaggio, un volo di rondini, una natura morta, che divengono nel contempo se stesse, ma anche le loro molteplici proiezioni. Per questo, in un’opera vera gli astri non conoscono tramonti, i fiori non declinano il capo sullo stelo, le rose sono quelle dell’empireo, scandite nella luce immemoriale, e siepi e campi e monti e castelli si stagliano nello spazio del sacro.

»» continua »» Guardo le opere di Vitale il Marinese e comprendo la ragione di questo rinnovato miracolo. Ché un artista come lui non si appaga di attimi di grazia o ispirazioni; ma su di essi si costruisce tutto un reticolo concettuale di linee verticali ed orizzontali, di ascisse e di ordinate che hanno lo scopo preciso di proteggere la fragilità degli esseri e degli eventi e di guidarli verso l’ardua conquista degli archetipi. E qui penso allo stupendo pesco che, simile ad un fuoco d’artificio irradia un colle erboso, mentre, come per chi deve restare isola incontaminata, un labirinto di linee lo rende immune dalle forze ostili. O ai rampicanti che scendono dall’alto, restando radicati tra le stelle. O al volto di una fanciulla che, simile a un astro che sorge, s’incunea tra geometrie e scansioni prospettiche. O al volo apicale delle tre rondini che sul pentagramma delle sfere ruotanti si ricongiungono alla luna. O al trasmigrare dei grandi uccelli marini al crepuscolo, fra il mare che s’imbruna e i grandi pali che sorreggono i tenui fili del progresso che avanza. Tutto questo è raccontato dal Marinese con una tecnica d’altri tempi, consapevole delle visioni sublimi d un Beato Angelico o di un Signore Martini; ma anche con l’orgoglio di chi vive oggi, e ha ben compreso i continenti della modernità, dall’astratto alle gabbie del Bauhaus, sulle quali improvvise finestre si aprono a irradiare gli interni quotidiani. E d'improvviso, come per una visione ultima dopo un estenuato viaggio, alberi, piante, farfalle, paesaggi, castelli si intridono d’oro, assumono la forza, la consistenza, l’inalterabilità di quel metallo, costringendo il nostro sguardo a penetrare con forza inusitata, al di là del consueto e del banale, nel cosmo delle sfere celesti soltanto nelle quali, insieme a Dante, possiamo finalmente appagare il nostro senso d’assoluto.
Aurelio Pes